L’Istat ha confermato la crescita del Pil dello 0,4% durante il secondo trimestre, ossia l’1,2% durante l’anno in corso. Rispetto al 2016 la crescita segna un +1,5%. Dati incoraggianti che superano anche le stime del governo.
Nei paesi dell’Eurozona, però, i numeri sono più rosei: +0,6% di crescita rispetto al primo trimestre 2017 e +2,2% su base annua.
Il premier Paolo Gentiloni vede nei numeri nazionali una via “per rilanciare economia e posti di lavoro” . Meno prudenti le parole del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, secondo cui il merito è del governo che ha saputo comportarsi con coerenza durante la crisi, sostenendo la ripresa con un occhio aperto sulle esigenze di bilancio.
I dati
I fatti, così come si presentano, indicando che per l’Italia, quello conclusosi a fine giugno, è il decimo trimestre consecutivo di crescita e, per trovare un trimestre più incoraggiante, bisogna ritornare ai primi 90 giorni del 2011, quando la crescita ha fatto registrare il +2,1%. Incrementi che sono sufficienti per parlare di crescita persistente, certo, ma non sufficienti a premiare il governo.
Durante il secondo trimestre, il secondario e i servizi hanno fatto da locomotiva, anche se per conoscere la situazione nel dettaglio occorre attendere il prossimo 30 agosto, quando verranno resi noti i dati specifici.
Il primo giorno di settembre l’Istat renderà noti anche i dati economici, sarà interessante vedere l’inversione rispetto a quelli pubblicati il primo giugnoquando, relativamente ai settori economici nel primo trimestre, è stata l’agricoltura con il +4,2% a trainare la crescita, seguita dai servizi (+0,6%) e quindi il dato negativo registrato dall’industria (-0,3%). Il secondo trimestre mostrerà dati ben diversi per l’industria che avrà un segno più, al contrario dell’agricoltura in forte contrazione, causa soprattutto siccità e incendi che hanno messo a dura prova colture e pastorizia.
Benché la crescita sia distante da quella dell’epoca pre-crisi (mancano ancora circa sei punti percentuali di Pil), è obiettivamente corretto assegnare una parte dei meriti al governo, anche se è lecito chiedersi quanto un governo capace di assolvere il proprio compito abbia bisogno di usare il sostantivo merito, rifuggendo però il suo contrario (ossia, demerito) quando le cose vanno meno bene. E, ancora, se in Italia la ricrescita è minore di quella generale europea, che senso ha parlare di meriti? Lo stesso ministro Padoan, intervenendo al Festival dell’economia di Trento lo scorso giugno, ha sostenuto che “la situazione difficile in Italia è dovuta all’incertezza politica, tutti fanno fatica a capire quale sia il prossimo quadro di governabilità e come sarà il prossimo parlamento” .
La Bce
A giocare in favore della crescita economica ci sono anche (e soprattutto) le politiche della Banca centrale europea (Bce), questo spiega perché la crescita sorride generalmente a tutti i paesi Ue e non solo alla Penisola. La Bce ha mantenuto basso il costo del denaro e ha iniettato fiducia, cosa che alle nostre latitudini manca, come sostiene il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, ancora scettico sugli effetti benefici dell’attuale ripresa economica. In Italia, secondo Sangalli, la fiducia di persone e imprese è in fase calante e per avere un impatto significativo sul numero di disoccupati, il Pil deve crescere di almeno 2 punti percentuali.
Freni alla crescita
Un debito di fiducia che, come ha ribadito il numero uno di Confcommercio durante un’intervista rilasciata a Il Giornale il 14 agosto, non è l’unico fardello che frena la crescita economica. Ci sono l’eccessivo cuneo fiscale(il costo del lavoro), le troppe tasse, dei problemi strutturali e infrastrutturali storici e, non da ultimo, l’iper-burocrazia e quello che definisce un deficit di legalità .
Dello stesso parere l’economista Federico Belotti dell’università Tor Vergata di Roma che a Wired.it ha sottolineato: «L’Italia è un paese caratterizzato da un elevato debito pubblico, da un’ampia quota di spesa pubblica improduttiva, da una pressione fiscale che ostacola l’efficienza economica e da un sistema industriale scarsamente competitivo perchè incentrato su piccole e medie imprese a bassa produttività, vulnerabile sia ai cambiamenti del contesto internazionale che alla concorrenza dei paesi emergenti. La crescita del paese è frenata da una pubblica amministrazione inefficiente e clientelare, incapace di promuovere la cultura della legalità e di assicurare quelle condizioni favorevoli necessarie ad attrarre investimenti sia interni che esteri».
Austerity
Le basi per la crescita sono state gettate dal governo Monti, sono proseguite con Letta, poi con Renzi e ora con Gentiloni. Ma la strada da fare è ancora lunga. L’austerity ha svolto il suo ruolo ma, fine a se stessa, ha un valore limitato. Assume un senso ponderato se, ai minori costi sostenuti, corrisponde un maggiore investimento pubblico. Un tema cruciale che sta trovando sollievo solo negli ultimi mesi con stanziamenti miliardari fino al 2020 ma che, nel 2016, ha conosciuto una contrazione del 4,5% al contrario di quelli privati, cresciuti del 4,7% soprattutto grazie ai diversi incentivi fiscali voluti dal governo.
Bonus e jobs act
Il bonus 80 euro, pensato per smuovere i consumi, ha solo in parte centrato i propri obiettivi. Da una parte Renzi convinto della bontà della misura, dall’altra il Codacons pronto a smentirlo. È vero che la Banca d’Italia ha elogiato il successo del bonus da 80 euro in termine di consumi, è altrettanto vero che il medesimo studio ha suscitato più di una perplessità. Nel triennio 2014-2016, ha ricostruito l’Istat, le politiche di redistribuzione hanno sensibilmente diminuito la disparità tra i redditi, avvantaggiando gli anziani ma penalizzando le giovani coppie. Questi effetti, tuttavia, sono da considerarsi pressoché esauriti nel secondo trimestre di questo 2017.
Qui subentra il discorso del Jobs Act, i cui effetti sono già visibili e, a corredo di un aumento dei posti di lavoro a tempo indeterminato, è partita l’immancabile dietrologia. Molti economisti, ancora durante il 2016, attendevano di pronunciarsi una volta esaurito l’effetto dopante delle decontribuzioni. Il M5S ha sempre accusato la misura voluta da Renzi di permettere la crescita del precariato. Se è vero che il Jobs Act ha dato una spinta all’impiego, così come evidenziato dall’Istat che a luglio 2016 ha indicato un saldo netto di +101.000 posti di lavoro in 90 giorni, è anche vero che ora bisogna favorire l’impiego giovanile.
Forza lavoro
Proprio sul tema dell’occupazione, il professore Belotti ha sottolineato: «Dobbiamo fare i conti con un mercato del lavoro viziato, marcato da una preoccupante precarietà che sta deprimendo le aspirazioni dei giovani, due under 40 su tre partecipano alla forza lavoro come ‘occasionali’, nonché da un tasso di partecipazione femminile desolante, soprattutto nel sud del paese. A questo dobbiamo aggiungere gli effetti negativi che nei prossimi 30 anni saranno causati da una popolazione destinata ad invecchiare gradualmente, secondo le ultime previsioni Istat nel 2040 un italiano su tre avrà più di 65 anni. Questo invecchiamento sta avendo, e avrà sempre di più, un impatto rilevante sia sul sistema sanitario che su quello pensionistico i quali, già oggi, assorbono più del 25% del Pil. Inoltre, non c’è da dimenticare che l’Italia è un paese caratterizzato da forti disuguaglianze economiche e sociali in cui, da circa un ventennio, il 5% delle famiglie detiene circa il 30% della ricchezza complessiva e dove circa un individuo su cinque possiede un reddito equivalente inferiore al 60% di quello mediano, quest’ultimo pari a circa 16.000 euro nel 2014. Un paese in cui le differenze regionali sono profonde e la questione meridionale è lungi dall’essere risolta».
Input all’economia
Gli investimenti legati all’industria 4.0, al cui proposito il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda sta lavorando, saranno cruciali per la crescita sul breve e medio periodo. Un’economia ha certamente bisogno di investimenti pubblici ma questi, da soli, non bastano. Il Piano industria 4.0traccia un (forse involontario) parallelismo tra crescita economica e sviluppo della filiera industriale, dall’approvvigionamento al cliente finale. Francia e Germania, rispettivamente con investimenti di 10 miliardi e di un miliardo, stanno dando un grande input alle economie locali, coinvolgendo attori di rilievo nei comparti industriali e tecnologici. In Italia il panorama non è altrettanto ben imbastito: ciò che manca sono proprio i player capaci di guidare le imprese alla trasformazione.
Per potere parlare di reali meriti del governo, infine, sarà necessario attendere le riforme che il ministro Padoan ha annunciato e, al cui proposito, torna a parlare ciclicamente. Se le misure relative al reddito di inclusione e al rilancio del lavoro, soprattutto quello giovanile, di cui si discuterà in autunno e che costeranno al Paese fino a 20 miliardi di euro, riusciranno a ridurre la disoccupazione e a fare aumentare i consumi interni, allora sarà indubbiamente vero che il governo avrà lasciato la sua impronta.
Non si tratta di assegnare meriti o demeriti, è necessario smettere di inseguire l’Europa e, per farlo, va ridotta la disoccupazione, va spinta la trasformazione verso l’Industria 4.0 e vanno incentivati gli investimenti strutturali. Tutto ciò – e qui risiede la difficoltà maggiore – riducendo tassee costo del lavoro. Uscire dagli schemi fiscali imposti dall’Europa è tuttavia necessario e l’idea di Renzi di creare un’area defiscalizzata in cui attirare aziende e investimenti non è del tutto balzana.
Il Pil in Italia cresce, ma la continuità necessita del condizionale e non, come sostiene la grillina Lezzi, dei condizionatori. Il governo ha la sua parte di meriti ma il gap che divide l’Italia dall’Europa politica ed economica, suggerisce che la strada per stappare lo champagne è lunga.